Nel
giorno tradizionalmente più importante dell’anno per Reggio, la città si
presenta al mondo con l’immagine di un drappo amaranto sdrucito appeso al
balcone centrale di Palazzo San Giorgio.
Mi
ha profondamente indignato vedere quel drappo appeso in occasione del passaggio
del Quadro della Madonna della Consolazione. È il simbolo di una città
stracciona, ma che stracciona non è, in realtà. La fanno apparire così i suoi
amministratori. E non mi riferisco ai commissari, che probabilmente non
sapevano neanche che quel drappo doveva essere esposto, ma a chi si è occupato
del cerimoniale, a chi lavora in quel Palazzo da anni, a chi doveva sapere che
quel drappo andava sostituito, oppure riparato, oppure esposto dal verso
opposto (ammesso che non fosse anche peggio) oppure, alla fine, meglio se non
esposto. Contemporaneamente, sul Lungomare, alle 10 del mattino,
l’illuminazione era accesa; parlo della parte funzionante, perché un buon 30 %
delle lampade è inefficiente da tempo, senza che nessuno degli addetti ai
lavori se ne preoccupi. Con le tasse comunali alla massima aliquota, con una
situazione di degrado pressoché totale a causa di carenza (o meglio assenza) di
fondi (eufemismo), è vergognoso dovere costatare questi sprechi. Anche qui non
credo che dovessero intervenire i commissari. Ci sono dei dipendenti,
funzionari o qualunque profilo rivestano, che sono sicuramente deputati al
controllo su questi argomenti, e che non stanno facendo il loro lavoro. Il
lavoro per cui sono pagati. Per spegnere la luce non ci vogliono denari, basta
avere un dito e la voglia di farlo, anzi, di lavorare. Finché il lavoro c’è. Quel
drappo sdrucito rappresenta quella parte di Reggio che, seppur minoritaria come
numero, prevale come immagine. Quella dei cittadini che non fanno il loro
dovere. Ma Reggio mantiene la sua dignità, nonostante ci sia un nutrito gruppo
di avventurieri che tenta giornalmente di togliergliela. “A jaddina chi canta
pi prima è chidda chi fici l’ovu”.
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