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domenica 18 marzo 2012

Cannavò: La leggenda della strage di Pasqua

La contrada Cannavo' di Reggio Calabria si trova sulla riva destra del torrente Calopinace, l'antico fiume sacro Apsias dei greci. Anticamente era famosa per la coltivazione della canapa, da cui secondo alcuni storici prenderebbe il nome. La tradizione orale, riportata  dallo storico Carlo Guarna Logoteta (autore tra l’altro de La storia di Reggio Calabria dal 1797 al 1860), riferisce di un orribile fatto di sangue ivi avvenuto nel XVII secolo: 
il giorno di Pasqua di un non precisato anno del XVII secolo si celebro' il matrimonio tra due giovani del paese; com'era tradizione tutti i paesani vi parteciparono allegramente. Nutrite scariche di fucile ruppero il silenzio all'uscita degli sposi dalla chiesa in segno di gioia. All'improvviso un cagnolino si avvicino' alla sposa e le urino' sul vestito nunziale. Inizialmente la cosa fu presa con ilarità e come segno di buon augurio, ma lo sposo ne rimase negativamente colpito; colto da ira incontenibile improvvisamente afferrò un fucile e sparò, colpendo a morte il cane; immediatamente il padrone del cane reagì uccidendo lo sposo. Un parente dello sposo rispose al fuoco uccidendo il padrone del cane, ed in breve tempo si scatenò quindi una furiosa sparatoria che vide irrazionalmente tutti contro tutti. Il parroco del paese si affacciò sulla soglia della chiesa e mostrò il Santissimo Sacramento cercando di placare la furia omicida, ma ne cadde vittima anch’esso, colpito a morte. Al termine dell’orribile evento pochi rimasero illesi, soprattutto vecchi, donne e bambini. Appena le autorità reggine seppero dell’accaduto informarono la Regia Udienza di Catanzaro, che si affrettò a inviare un uditore (magistrato) con alcuni bargelli (ufficiali con poteri di legge marziale). Ma l’orrore non era ancora giunto a termine e, quando l’uditore giunse a Cannavò, uno dei superstiti della tragedia, forse timoroso di essere a rischio egli stesso di condanna, lo uccise in località Malopasso. La Regia Udienza rispose ferocemente ordinando che il villaggio fosse raso al suolo. L’ordine fu eseguito da Giovan Battista Cigala, Principe di Tiriolo, che però risparmiò la chiesa spargendo sale sulle povere rovine. Negli anni successivi la chiesa praticamente abbandonata cominciò a deteriorarsi e le autorità cittadine disposero che le campane, gli arredi e la statua del Santo Patrono fossero trasportate altrove.
Fin qui la storia narrata dal Logoteta, che afferma di averla ascoltata dal parroco di Cannavò nel 1844. La stessa storia fu ripresa anche da Rocco Cotroneo, storico ed attento cronista dei fatti calabresi del primo novecento; il Cotroneo non si limitò però a riportare la tradizione orale, ma effettuò una ricerca approfondita, scoprendo che negli archivi di Reggio e di Catanzaro non vi è traccia dei fatti descritti, e che, anzi, nell’Archivio Diocesano di Reggio Calabria esiste la prova che a Cannavò ci fu sempre un parroco, dimostrazione del fatto che il paese non fu mai distrutto completamente.  Il Cotroneo ne dedusse che probabilmente vi fu veramente un grave evento delittuoso, anche se da ridimensionare rispetto alla memoria popolare, e che la reazione della Regia Udienza fu pesante ma indirizzata solo ad alcuni abitanti del villaggio. Successivamente il terremoto del 1783 causò lutti e rovine e probabilmente, come accade spesso, la fantasia popolare unificò i due eventi sino a creare la leggenda della strage di Pasqua.
Pasqualino Placanica
Bibliografia:--Carlo Guarna Logoteta: “Albo Reggino” ( “L’Avvenire di Calabria”), anno III, 1864               Rocco Cotroneo:  “Rivista Storica Calabrese”, anno 1903, pp. 133-147

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