Al
cessare della minaccia saracena quasi tutti i paesi della costa jonica, che per
ovvia necessità erano situati sulle colline in posizioni facilmente
difendibili, generarono una loro propaggine sulla costa, che spesso si sviluppò
al punto da essere più grande ed importante del paese d’origine stesso. Motta
San Giovanni e Lazzaro, Montebello e Saline, San Lorenzo e San Lorenzo Marina,
e tanti altri. Tra il paese/madre e la “marina” nasceva immancabilmente una
rivalità basata su presunte tesi di nobiltà di origine, produttività, peso
nell’economia comunale etc. etc. … che di solito si concretizzava (e si
concretizza tutt’oggi) con sfottò e sfide incruente, molto di rado con atti di
violenza. E accade quindi che storielle come questa che sto per raccontare vengano
adottate da una delle due fazioni del paese per sfottere i compaesani rivali. Ne
esistono varie versioni, che differiscono praticamente solo per la collocazione
geografica adottata. Il “paesano della marina” o “il paesano del borgo” è di
volta in volta il personaggio interprete della scenetta, raccontata dal
“paesano rivale”. La definizione di “vota cannolu” (gira cannolo) si usava
frequentemente fino a qualche tempo fa per indicare una persona che si riteneva
furba ma che tale non si dimostrava con i fatti.
Giovanni,
un contadino (diciamo della collina) con il suo asino carico di prodotti
agricoli, partì in piena notte per recarsi a Reggio per trovarsi lì di buon ora
e vendere al mercato la sua mercanzia. Sulla strada si trovò a dovere attraversare
il letto di una fiumara. Attraversare una fiumara d’estate è cosa abbastanza
facile, altrettanto non si può dire d’inverno, quando le acque scorrono
impetuose e le pietre del greto sono limacciose e scivolose. Durante
l’attraversamento, il povero asino, caricato appunto “come un asino”, mise una
zampa in fallo e scivolò cadendo in una grossa pozza d’acqua e fango nella
quale sprofondò rimanendo solo con la testa e parte del dorso fuori dall’acqua.
I due “cofani” del carico erano per metà sott’acqua, ma per fortuna il
contadino capì che era meglio non scaricare l’animale, poiché erano proprio i
due cofani che aumentando la superficie impedivano all’asino di sprofondare. In
pratica galleggiava, la povera bestia, ma troppo poco per poterla tirare fuori,
le zampe erano imprigionate nel fango. Si trattava quindi di sollevarlo di più,
per poterlo poi tirare all’asciutto. Per fortuna giunsero sul posto altri
contadini, della “marina” e della “collina”, tutti con il loro asino, tutti in
viaggio per Reggio. Intorno alla povera bestia si riunì un vero e proprio
consulto di menti pensanti, ognuno sinceramente solidale con il compare Giovanni
in difficoltà, ma altrettanto confusionario nello studiare soluzioni. Ad un
certo punto giunsero alla conclusione unanime che fosse necessario sollevare
l’animale. Uno di loro si ricordò di avere sentito dire che i pescatori usavano
recuperare le barche affondate utilizzando zucche vuote o otri di pelle pieni
d’aria; li agganciavano al relitto aggiungendone tanti fino a quando risaliva a
galla. Ma dove trovare il necessario, in piena notte in mezzo ad una fiumara?
Il colpo di genio venne ad un contadino della “marina”: perché non riempire
d’aria proprio l’asino? Dopo tutto si poteva assimilare ad un otre. Si presentò
però un nuovo problema: da dove introdurre l’aria nell’asino? Dalla bocca non
era possibile, perché non avevano un attrezzo adatto e l’aria se ne fuoriusciva
appena veniva immessa, altrettanto accadeva dalle narici. Rimaneva un’unica
soluzione: quella posteriore. Detto fatto presero una canna delle dimensioni
giuste, la lavorarono con cura e ne ricavarono un “cannolo” idoneo alla
bisogna. L’asino ormai sfinito stava immobile a subire i tormenti che i
contadini, seppur in buona fede, gli infliggevano, forse aveva anche capito che
lo facevano per il suo bene. Certo non fu felice di sentirsi introdurre nel
posteriore il “cannolo”. L’onore di iniziare a soffiare fu dei contadini della
“marina”, che avevano avuto l’idea. Scoprirono presto che gonfiare un asino non
è cosa da poco, e in breve tutti i “marinoti” furono stanchi. A questo punto, i
contadini della “collina”, consci della responsabilità che toccava loro e
orgogliosi di essere quelli che avrebbero portato a compimento l’operazione, sentendo
rinascere la vecchia rivalità tennero a precisare: “sapete, amici, non per
mancare di rispetto, ma solo per questioni d’igiene, non è opportuno che noi
della collina appoggiamo la bocca dove l’avete appoggiata voi della marina. Non
vi offendete, ma noi soffiamo dall’altra parte del “cannolo”, perciò lo giriamo”.
E rivolgendosi al padrone dell’asino, uno di loro disse: “Giuvanni, vota u
cannolu”. Giovanni estrasse il “cannolo” dal posteriore dell’asino, lo
reintrodusse dall’altro lato e tutti i contadini della collina soffiarono
soddisfatti di non essere stati contaminati da quelli della marina. La storia
non racconta se l’operazione di recupero ebbe successo.
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