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lunedì 12 agosto 2013

Sul set de: "Il giudice meschino"



Qualche giorno fa sono stato per un po’ ad assistere alle riprese de “Il giudice meschino”, la fiction tratta dal romanzo di Mimmo Gangemi ambientata a Reggio e in provincia. Ci sono capitato quasi per caso, giravano vicino casa mia e passando con mia cognata sono stato praticamente obbligato a fermarmi pena l’odio definitivo e perenne da parte sua che mi sarei guadagnato non facendolo: c’era Luca Zingaretti. Confesso però che mi sarei fermato lo stesso, non ero mai stato spettatore delle riprese di un film.  Sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’ambiente: tanti curiosi come me e mia cognata, ma anche tanta umanità e semplicità, sia da parte del pubblico che soprattutto da parte della troupe cinematografica. C’era la vecchietta in vestaglia con il bastone che, incurante del servizio d’ordine, a braccetto di un’altra signora si è intromessa in una scena per salutare gli attori. Giravano Luca Zingaretti e Luisa Ranieri, e tutti e due si sono fermati sorridenti a salutare la signora, la quale raggiunto l’obiettivo che si era prefissato se ne è andata soddisfatta a sedersi su una sedia a fianco del set, sul portone di casa sua. Mentre scattavo qualche fotografia in posizioni acrobatiche, mi sono sentito toccare sulla spalla, e un’altra signora mi ha apostrofato, seppur sorridente: “Ma scusati, vui siti masculu, chi v’interessa Zingaretti? Lassatindillu vardari a nui, chi simu fimmini!” In questa atmosfera, e lo voglio sottolineare,  la troupe, gli attori, e soprattutto il servizio d’ordine si sono comportati meravigliosamente; una gentilezza, una pazienza con il pubblico insospettabile, direi quasi sovrumana. Sempre sorridenti, mai un urlo, mai un’imprecazione che sarebbe stata tutto sommato giustificata, visto che giravano in una strada aperta al traffico e piena di curiosi. I presupposti per un successone ci sono tutti: la storia è di ottimo livello, il cast e la troupe altrettanto. Se il buongiorno si vede dal mattino, credo proprio che a lavoro finito potremo assistere a un prodotto di alto livello. Sarebbe tra l’altro un ottimo palcoscenico per Reggio e la Calabria tutta. Questa terra ne ha bisogno, di pubblicità positiva.

martedì 6 agosto 2013

Napolitano conceda la grazia a Berlusconi se...


Confesso che non conoscevo i meccanismi complessi che regolano la concessione della grazia ad un cittadino condannato in via definitiva. Immaginavo che  una delle condizioni necessarie ed irrinunciabili fosse il dichiarato pentimento. Graziare un delinquente certificato da una condanna definitiva che non ammetta di avere sbagliato e di essersi pentito mi sembrava non fosse nella logica democratica; "è come se qualcuno avesse il potere assoluto di annullare il volere del popolo italiano" mi dicevo. E invece è proprio così: tra le condizioni per la concessione della grazia non c'è il pentimento, né l'ammissione della colpa. Accade così che un delinquente pregiudicato certificato da una condanna possa essere oggetto di una richiesta di grazia per la sua persona mentre contemporaneamente nega di avere commesso il fatto, attaccando ferocemente chi lo ha condannato, ed offendendo un Organo dello Stato di cui colui che dovrebbe concedergli la grazia è il Capo. Mi domando se tutto questo è costituzionale. Nel frattempo al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che sta "attentamente esaminando" mi permetto di consigliare di anteporre all'esame della richiesta di grazia la condizione del pentimento da parte del condannato. Non si può stare con lo stesso piede in due staffe.

Paesano "Vota cannolu"



Al cessare della minaccia saracena quasi tutti i paesi della costa jonica, che per ovvia necessità erano situati sulle colline in posizioni facilmente difendibili, generarono una loro propaggine sulla costa, che spesso si sviluppò al punto da essere più grande ed importante del paese d’origine stesso. Motta San Giovanni e Lazzaro, Montebello e Saline, San Lorenzo e San Lorenzo Marina, e tanti altri. Tra il paese/madre e la “marina” nasceva immancabilmente una rivalità basata su presunte tesi di nobiltà di origine, produttività, peso nell’economia comunale etc. etc. … che di solito si concretizzava (e si concretizza tutt’oggi) con sfottò e sfide incruente, molto di rado con atti di violenza. E accade quindi che storielle come questa che sto per raccontare vengano adottate da una delle due fazioni del paese per sfottere i compaesani rivali. Ne esistono varie versioni, che differiscono praticamente solo per la collocazione geografica adottata. Il “paesano della marina” o “il paesano del borgo” è di volta in volta il personaggio interprete della scenetta, raccontata dal “paesano rivale”. La definizione di “vota cannolu” (gira cannolo) si usava frequentemente fino a qualche tempo fa per indicare una persona che si riteneva furba ma che tale non si dimostrava con i fatti.
Giovanni, un contadino (diciamo della collina) con il suo asino carico di prodotti agricoli, partì in piena notte per recarsi a Reggio per trovarsi lì di buon ora e vendere al mercato la sua mercanzia. Sulla strada si trovò a dovere attraversare il letto di una fiumara. Attraversare una fiumara d’estate è cosa abbastanza facile, altrettanto non si può dire d’inverno, quando le acque scorrono impetuose e le pietre del greto sono limacciose e scivolose. Durante l’attraversamento, il povero asino, caricato appunto “come un asino”, mise una zampa in fallo e scivolò cadendo in una grossa pozza d’acqua e fango nella quale sprofondò rimanendo solo con la testa e parte del dorso fuori dall’acqua. I due “cofani” del carico erano per metà sott’acqua, ma per fortuna il contadino capì che era meglio non scaricare l’animale, poiché erano proprio i due cofani che aumentando la superficie impedivano all’asino di sprofondare. In pratica galleggiava, la povera bestia, ma troppo poco per poterla tirare fuori, le zampe erano imprigionate nel fango. Si trattava quindi di sollevarlo di più, per poterlo poi tirare all’asciutto. Per fortuna giunsero sul posto altri contadini, della “marina” e della “collina”, tutti con il loro asino, tutti in viaggio per Reggio. Intorno alla povera bestia si riunì un vero e proprio consulto di menti pensanti, ognuno sinceramente solidale con il compare Giovanni in difficoltà, ma altrettanto confusionario nello studiare soluzioni. Ad un certo punto giunsero alla conclusione unanime che fosse necessario sollevare l’animale. Uno di loro si ricordò di avere sentito dire che i pescatori usavano recuperare le barche affondate utilizzando zucche vuote o otri di pelle pieni d’aria; li agganciavano al relitto aggiungendone tanti fino a quando risaliva a galla. Ma dove trovare il necessario, in piena notte in mezzo ad una fiumara? Il colpo di genio venne ad un contadino della “marina”: perché non riempire d’aria proprio l’asino? Dopo tutto si poteva assimilare ad un otre. Si presentò però un nuovo problema: da dove introdurre l’aria nell’asino? Dalla bocca non era possibile, perché non avevano un attrezzo adatto e l’aria se ne fuoriusciva appena veniva immessa, altrettanto accadeva dalle narici. Rimaneva un’unica soluzione: quella posteriore. Detto fatto presero una canna delle dimensioni giuste, la lavorarono con cura e ne ricavarono un “cannolo” idoneo alla bisogna. L’asino ormai sfinito stava immobile a subire i tormenti che i contadini, seppur in buona fede, gli infliggevano, forse aveva anche capito che lo facevano per il suo bene. Certo non fu felice di sentirsi introdurre nel posteriore il “cannolo”. L’onore di iniziare a soffiare fu dei contadini della “marina”, che avevano avuto l’idea. Scoprirono presto che gonfiare un asino non è cosa da poco, e in breve tutti i “marinoti” furono stanchi. A questo punto, i contadini della “collina”, consci della responsabilità che toccava loro e orgogliosi di essere quelli che avrebbero portato a compimento l’operazione, sentendo rinascere la vecchia rivalità tennero a precisare: “sapete, amici, non per mancare di rispetto, ma solo per questioni d’igiene, non è opportuno che noi della collina appoggiamo la bocca dove l’avete appoggiata voi della marina. Non vi offendete, ma noi soffiamo dall’altra parte del “cannolo”, perciò lo giriamo”. E rivolgendosi al padrone dell’asino, uno di loro disse: “Giuvanni, vota u cannolu”. Giovanni estrasse il “cannolo” dal posteriore dell’asino, lo reintrodusse dall’altro lato e tutti i contadini della collina soffiarono soddisfatti di non essere stati contaminati da quelli della marina. La storia non racconta se l’operazione di recupero ebbe successo.