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"passo la vita fuggendo dalla mia ignoranza"
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domenica 30 settembre 2012

Quando la carta parla.


Leggendo la lettera che Pier Paolo Pasolini scrisse a Maria Franco nel 1970, più delle parole, mi ha colpito l’immagine.*
Scritta a macchina, magari con una gloriosa Lettera Olivetti, firmata a mano, con un inchiostro blu. I caratteri quasi incerti, più chiari o più scuri a seconda del nastro, una S maiuscola sfalsata rispetto agli altri caratteri, una correzione a penna, due virgole aggiunte successivamente...E la carta, un foglio di carta Fabriano, con la filigrana trasparente.
Quella lettera non dice solo quello che vi è scritto; è una testimonianza di un periodo, di un modo di vivere, del pensiero e dello stile di chi l’ha scritta. Quella lettera è unica, non c’è un altro originale.
Ed ho pensato a come avrebbe scritto Pasolini oggi. Sarebbe stata una email, un SMS oppure un messaggio su Facebook? Senza errori, i caratteri perfetti, allineati al millimetro, e la firma in stampatello, come il resto della lettera. La carta, poi... quale carta? L’originale non esisterebbe, tutte le copie sarebbero originali, tutti gli originali sarebbero copie.
Penso che riprenderò ad usare la penna, che troppo tempo ho lasciato nel cassetto.

*La scrittrice e giornalista reggina Maria Franco ha recentemente resa pubblica sul giornale online Zoomsud una lettera che ricevette da Pier Paolo Pasolini nel 1970. Il poeta, dopo aver letto alcune sue poesie, la invitò a leggere, per ampliare i suoi orizzonti, alcuni autori tra i quali Elsa Morante.

mercoledì 26 settembre 2012

Scontro tra caste

Su Sallusti, che io vedo come individuo e non come giornalista (come credo debbano fare tutti quelli che dichiarano di essere contro le caste) ritengo che debbano essere scissi i due concetti di "condanna" e di "pena". Se è colpevole, e tre sentenze in tal senso credo lo sanciscano definitivamente, deve essere condannato. Nessuno può diffamare altri individui, e se lo fa o ne è responsabile, deve pagare. Ma 14 mesi di carcere sono un chiaro atto di terrorismo psicologico verso chi esercita la professione. Quello che non capisco è lo sdegno di quel centrodestra che ha continuamente chiesto il carcere per i giornalisti. E quello che capirò ancora meno è se sarà trovata una soluzione "bonaria" di aggiustamento per questo caso. Se la legge è uguale per tutti e gli individui sono tutti uguali, la soluzione per Sallusti (che nel migliore dei casi sarà la milionesima vittima di una sentenza sbagliata) deve essere successiva alla soluzione per tutti gli altri. In caso contrario avremo assistito alla ennesimo scontro tra caste, giornalisti contro magistrati, con immenso spiegamento di forze da entrambe le parti, che si sarà conclusa con la mediazione della terza e forse più potente casta, la politica. Tutto quello che potrà scaturire da un accordo a tre del genere vedrà soccombente l'unica vera associazione di individui naturalmente lecita : i cittadini.

Ci cazziano e non lo capiamo....


Stamattina ad Omnibus, programma di La7, c'era il governatore della Calabria Scopelliti a sbandierare come sempre le sue assurde teorie sulla positività del suo operato. Abituato ai monologhi senza contraddittorio e soprattutto al tempo illimitato a disposizione, in televisione si trova come un pesce fuor d'acqua se c'è chi lo incalza ed ha poco tempo per rispondere. E così si innervosisce. Ma il colpo di grazia lo ha ricevuto da un amico, o presunto tale. In realtà, tra squali predatori, l'amicizia esiste solo se c'è da mangiare per tutti; se non c'è cibo o c'è da salvarsi allora ognuno per se e Dio per tutti. "Se io facessi a Verona quello che ha fatto il Consiglio Comunale di Reggio, approvando alcuni mesi fa il bilancio consuntivo 2010 con 118 milioni di perdite andrei subito a casa. Ma andrei subito a casa anche se lo chiudessi con un euro di perdita..." firmato Flavio Tosi. E noi ridiamo soddisfatti perchè Tosi ha contraddetto Scopelliti. Ma più che a Scopelliti, questo è soprattutto un bel calcio nei denti ai reggini, che permettono ancora che chi prende in giro la città e il mondo intero rimanga al suo posto. A Verona non sarebbe successo, ci dice orgoglioso Flavio Tosi. Forse aveva ragione quando rivendicava per Verona la dignità di città metropolitana al posto di Reggio. La città è costituita dalle case, dalle strade, ma soprattutto dai cittadini e da chi li amministra e rappresenta .

martedì 25 settembre 2012

Manifesti funebri


di Antonio Calabrò*
Finalmente la città di Reggio ha uno scatto d'orgoglio. Uno scatto degno dei migliori centometristi, uno scatto di rabbia verso il cielo, di dignità contro un destino baro e infame.
Stanchi di essere accusati di connivenza e convivenza con la Mafia, tutti i reggini hanno firmato un “Manifesto” dove si respingono al mittente le accuse spregevoli di cui sono fatti oggetto. Basta, si è urlato in coro. Questa diffamazione deve terminare !
La dovete finire di dire che c'è il buco di bilancio. I buchi di bilancio ci sono in tutte le città, anzi il nostro è piccolo, è un buchino, una misera inezia di quasi duecento milioni di euro. Che c'è di male?
La dovete smettere di dire che le aziende miste sono state infiltrate. Lo sappiamo tutti che i mariuoli ci sono dappertutto. Cosa viene a significare che la Multiservizi è stata sciolta per mafia? O che anche la Leonia è indagata? Sono cose normali, accadono in ogni luogo d'Italia.
Basta con questa criminalizzazione. Reggio è una città di grande cultura e storia. Ha i Bronzi. Sono orizzontali da qualche tempo, ma presto si rialzeranno. Il museo è chiuso, ma riaprirà. Si vuole forse negare che le ultime amministrazioni non abbiano fatto cultura? E come la mettiamo con RTL? E con Lele Mora e la sua scuderia? E la notte Bianca? E i salsicciai di festa di Madonna? Non è forse cultura questa?
Che vuol dire che la città è sporca come una casbah ottocentesca? La colpa mica è di chi deve pulire. Sono solo pochi sporcaccioni, sempre i soliti, che producono pattume a non finire. Lo fanno apposta.
E i problemi dell'acqua? Non sapete che ci sono sempre stati? Il problema dell'acqua al Sud dura da secoli. Mica è colpa di noi reggini. E i buoni libri tagliati? Mica si possono mantenere tutti i lussi, adesso. E i trasporti che non funzionano, le aziende sul lastrico, la disoccupazione giovanile a livelli mai raggiunti? Sono tutti argomenti che non dipendono da noi. La città è sana e forte, queste sono faccende secondarie.
Così i reggini hanno fatto un manifesto, e l'hanno firmato, tutti. Operai, studenti, classi dirigenti, professionisti. Tutti concordi nel sostenere questa reazione alla diffamazione continua che getta fango sulla nostra antica civiltà.
“Reggio è una città normale”, si ribadisce. E con questa frase si compie la migliore delle operazioni possibili. Non è un manifesto politico. Neanche un manifesto sociale. In realtà è un manifesto funebre.
Oggi a Reggio è morta la verità. Questa è la realtà. Oltre le parole, è il vero significato del manifesto.
Le associazioni antimafia che hanno sottoscritto, quelle nate con la volontà di contrastare l'evidente anormalità della città, vista la situazione tranquilla e florida, dovrebbero sciogliersi. Che senso hanno?
A Reggio è morta la verità. Tutti gli altri firmatari, in buona fede e non, sono come quei parenti degli annunci mortuari che “ne danno il triste annunzio”.
(In realtà il manifesto è stato firmato da circa 400 notabili. Meno dello 0,25 %, Tutti gli altri reggini non sono stati interpellati. Tutti gli altri reggini non contano).
* scrittore

Il monologo del Sindaco.


La tecnica della presunta conferenza stampa rivelatasi un monologo senza contraddittorio nè domande da parte dei giornalisti non è nuova nel panorama politico, e soprattutto non è nuova a Reggio Calabria. Mi duole rammentare a me e a chi legge fatti tragici su cui ancora non è stata completamente fatta chiarezza, ma l'ultima pseudo-conferenza stampa della dottoressa Fallara ha avuto la stessa caratteristica: nessuna domanda è stata possibile. Tra i due episodi non c'è solo questa analogia, se ci pensiamo bene. In entrambi i casi il soggetto è messo sotto pressione sugli organi di stampa, vicino ad essere messo sotto giudizio da un organo di controllo, abbandonato dagli amici che lo hanno sostenuto e protetto fino ad oggi. I motivi per cui i soggetti sono stati messi sotto pressione ed un comportamento poco lucido da parte di entrambi, seppur esternato in maniera diversa, completa il cerchio delle analogie. Almeno spero. Detto questo, analizzando le parole del Sindaco Arena, mi fermerei a tre frasi emblematiche, che la dicono tutta sul risultato che egli si prefigge, ma che non raggiungerà. La prima: "rimanere a guardare non serve più a niente" viene riportata tra virgolette dai giornali. Un lapsus freudiano, senza dubbio. Egli comunica a chi è stato a guardare fino adesso che non serve più, e lo invita a cambiare atteggiamento; ma perchè, prima serviva? Evidentemente si, a qualcuno serviva. La seconda frase: "La città è entrata in un ingranaggio pericoloso, come successe in passato." Superfluo ricordare a quale periodo si riferisca Arena, naturalmente. Un chiaro riferimento a tempi e fatti che non si sono limitati a semplici conferenze stampa. La terza frase: "...non si combatte bollando una comunità come mafiosa". Ora sfido chiunque a trovare negli articoli che parlano del Sacco di Reggio una frase che definisca l'intera comunità reggina come mafiosa. Lo dice Arena, lo dice Scopelliti, non lo dicono i giornali. I giornali parlano di classe politica corrotta, di collusioni con la ndrangheta, di sperperi e di malaffare. Se Reggio fosse interamente mafiosa, allora dovremmo trovare la vittima di questa mafiosità, magari nelle città vicine, perchè non si può esser contemporaneamente vittime e carnefici di se stessi. Farneticazioni, solo ed esclusivamente farneticazioni, da parte del Sindaco Arena, che non ha capito che avere un mandato popolare non comporta il diritto di prendere in giro l'intero popolo che lo ha eletto. Onestamente le farneticazioni del Sindaco Arena, secondo me hanno l'importanza che ognuno gli vuole dare. Per me non hanno alcuna importanza.

domenica 16 settembre 2012

Caso Cisterna - Chi risarcisce...chi?

La procura di Reggio Calabria ha chiesto l'archiviazione del procedimento contro il giudice Alberto Cisterna. Non c'è niente di niente contro di lui che non siano chiacchiere senza uno straccio di prova. Dopo più di un anno di "indagini" quello che era già chiaro a molti viene riconosciuto anche da chi ha ritenuto di dovere approfondire. "Atto dovuto". Di solito si dice così, occorre procedere anche nell'interesse dell'indagato; alla faccia dell'interesse tutelato! In attesa della decisione del GIP, che potrebbe anche rigettare l'archiviazione, mi trovo a riflettere su quanto successo. Cisterna era considerato un valente magistrato, forse il migliore in Italia, era il numero 2 della DNA. A causa del procedimento aperto contro di lui senza fatti concreti (lo dice lo stesso ente che lo ha avviato) il giudice Cisterna è stato distolto dal suo incarico, e mandato a fare il magistrato giudicante al Tribunale di Tivoli. Una carriera forse compromessa definitivamente, almeno nella direzione che aveva preso. Danni irreparabili all'uomo, non si discute. Ma io, EGOISTICAMENTE mi domando chi ripagherà la società civile, i cittadini onesti, lo Stato della perdita di una professionalità così elevata in un campo delicato come quello della lotta alla mafia. Danni irreparabili al popolo onesto, che probabilmente nessuno mai risarcirà, e da cui altri  trarranno vantaggi (alcuni inaspettati, altri calcolati).

mercoledì 12 settembre 2012

L'onore della sconfitta

Cominciano a fioccare le note ed i pareri di più o meno autorevoli commentatori, che, in vista dell'imminente pronunciamento del Governo su Reggio Calabria sono tutti d'accordo nel considerare l'eventuale scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose come una sconfitta per la città. In realtà, la sconfitta c'è già stata, quando si sono verificati i fatti che hanno causato l'intervento della commissione d'accesso. Nessuno la vede, tutti guardano un po' più avanti, ma quella è stata la sconfitta, della classe politica che è stata messa sotto esame per fatti gravi, e della città che l'ha eletta e rieletta più volte.  Il Governo non dovrà valutare e giudicare la veridicità della relazione, ma dovrà valutarne il peso, e decidere se il peso è tale da affondare un'intera città, che adesso galleggia solo perchè ancora nessuno ha deciso e che se quel qualcuno deciderà di non affondarla continuerà a galleggiare in balia delle correnti senza timone.  C'è chi forse pensa che se il Governo non dovesse decidere lo scioglimento del Consiglio Comunale la città avrà vinto? Diciamo le cose come stanno, e prendiamole per quello che sono: ormai abbiamo toccato il fondo, ci tocca poggiare i piedi e darci lo slancio per risalire. Non è piangendoci addosso, che potremo farlo. A volte essere sconfitti è più onorevole che vincere senza gloria.

domenica 9 settembre 2012

Il pastore reggino


Era l’estate del 1970, a Reggio Calabria erano appena scoppiati quelli che saranno poi definiti “i moti di Reggio”, dappertutto la popolazione scendeva in strada a manifestare contro l’emarginazione della città da parte del governo centrale; in un solo colpo l’arroganza del potere stava per annullare una delle città più antiche e gloriose della Magna Grecia. Natale era un giovane professore di lettere classiche appassionato di  lettere antiche e storia, in particolare della storia della sua città. Passione che aveva ereditato dal nonno da cui aveva preso anche il nome, archeologo di valore mondiale e professore universitario di chiara fama. Fin da piccolo, aveva seguito quando possibile il nonno nelle campagne di scavi in posti lontani e pericolosi, acquisendo conoscenze insolite per un ragazzo della sua età. Adesso, però, si trovava sempre con il nonno ad affrontare un avversario imbattibile: la morte. Il maestro di vita che lo aveva cresciuto e forgiato era giunto al termine della sua lunga vita terrena, ed aveva voluto espressamente al suo capezzale il caro nipote. Nel silenzio della stanza semibuia, il vecchio scienziato si rivolse al nipote:
-So di essere ormai giunto al termine della mia strada; non ho niente da rimpiangere, ho avuto una vita piena di soddisfazioni e di avventure. Ho messo a disposizione della nostra gente quello che è scaturito dal mio lavoro. C’è una cosa, però che non ho mai raccontato a nessuno e che adesso, proprio in questi momenti estremi, mi rendo conto di non avere il diritto di portare con me senza che qualcuno ne prenda conoscenza. Tantissimi anni fa non ho dato la giusta importanza a quanto mi è accaduto.-
Il vecchio professore prese fiato, ed iniziò a raccontare, con voce fioca ma calma e decisa.
-Nel 1908 avevo trent’anni, l’età che hai tu adesso, anch’io, come te  adesso, ero già laureato da tempo ma ancora non avevo ottenuto il credito che mi avrebbe poi portato ad essere considerato uno dei più grandi esperti di storia della Magna Grecia. Avevo partecipato a varie campagne di scavi, ma sempre su siti già conosciuti ed esplorati. Nel tempo libero, in compagnia del mio cane spinone me ne andavo in giro per le campagne reggine in cerca di resti della nostra antica civiltà, senza certamente aspettarmi di trovare chissà cosa; solo un colpo di fortuna avrebbe potuto farmi fare la scoperta che sognavo da sempre. Un freddo giorno di dicembre, in prossimità delle feste natalizie, mi trovavo sulle colline dietro Reggio, all’inizio del torrente Calopinace; il mio cane mi precedeva come al solito, e si intrufolava nella vegetazione con abilità come era sua natura. Purtroppo, o forse per fortuna, ad un certo punto il cane sprofondò in una buca che si era aperta improvvisamente nel terreno. Lo sentivo mugolare e sporgendomi nella buca riuscii anche a vederlo. E vidi anche che in realtà mi trovavo sopra un pavimento di pietra coperto dalla terra e dalla vegetazione. Piano piano riuscii ad allargare l’apertura, asportando altre pietre intorno al buco. Il cane uscì fuori da solo, illeso, e solo allora realizzai di essere sopra una specie di camera sotterranea di fattura antica. Stava facendo buio, e comunque ero sprovvisto di qualsiasi attrezzo utile, perciò ricoprii tutto con delle frasche e rientrai nel paese vicino, dove facevo base presso una famiglia di contadini amici di mio padre. Non feci parola con nessuno di quanto avevo scoperto. La mattina dopo, fornito di corda, lume e attrezzi da scavo, ritornai sul posto e dopo qualche ora di lavoro riuscii ad aprire un varco tale da permettermi di entrare nella stanza sotterranea. Era una stanza vera e propria, spoglia di tutto. Uno dei muri, però, era quasi completamente costituito da una lastra di pietra liscia, ricoperta di terra e ragnatele. Ripulita, la lastra si rivelò essere una stele, su cui era scolpita una lunga scritta in greco antico; un racconto, ambientato alle origini di Reggio, l’antica Rheghion. Credo che la stele fosse originariamente posizionata da qualche altra parte e poi, per qualche motivo sconosciuto, sia stata spostata ed inserita nel muro del manufatto che la ospitava. Impiegai diversi giorni a decifrare cosa ci fosse scritto, ostacolato dalla poca luce e dalla segretezza che mi ero imposto per cautela e, adesso lo ammetto, per egoismo. Volevo prendermi tutto il merito, mi sentivo all’altezza di farcela da solo. E in effetti ce l’avevo fatta, a decifrare la stele. Era scritta in caratteri calcidesi, credo risalisse all’epoca della colonizzazione greca, circa all’ottavo secolo avanti Cristo.-
-Ma non capisco, nonno; non ho mai sentito parlare di questa stele...- disse il giovane Natale.
-Infatti, nessuno ne ha mai saputo niente. L’ultimo giorno, quello in cui terminai di decifrarla, mi riproposi di annunciare al mondo la scoperta, che sapevo essere clamorosa, ormai. La mattina successiva, Reggio e tutto quanto la circonda vennero distrutte dal terremoto più catastrofico del nostro tempo; era il 28 dicembre del 1908. Per mesi e mesi io e tutti i reggini avemmo ben altro da pensare. Quando la situazione lo permise, mi recai sul posto della scoperta ma lo trovai sconvolto, irriconoscibile. Enormi massi di roccia pura si erano spostati come niente fosse, dove c’era la collina adesso era pianura, tutti i miei punti di riferimento non esistevano più. Era impossibile individuare il sito, ammesso che la stanza fosse ancora in piedi, cosa che io credetti improbabile. Tornai molte volte sul posto, ma non riuscii neppure ad orientarmi. Non raccontai niente a nessuno. Cosa avrei potuto dire? Chi mi avrebbe creduto, senza alcuna prova? E così per più di mezzo secolo mi sono portato dietro il rimpianto di non aver potuto donare alla scienza un documento eccezionale. Ma da poco tempo, invece, ho capito che la vera ricchezza della mia scoperta non era la stele, ma quello che vi era scritto. Ho capito che è mio dovere far conoscere ai reggini quanto tramandato dai Padri fondatori, e che forse la mia scoperta non è stato un caso. La nostra città vive un periodo buio, mai come adesso è necessario che quanto ho letto in quei giorni sia messo a conoscenza del popolo reggino.-
-Tu ricordi quello che vi era scritto?- chiese Natale al nonno.
Ricordo perfettamente tutto, come se lo stessi leggendo adesso -
Ed il vecchio scienziato iniziò a ripetere la storia che tante volte aveva rammentato con rimpianto:
"Sulla spiaggia fatta di ciottoli alla foce del sacro fiume Apsias, il giovane Agatos guardava le sue pecore pascolare tranquillamente. Il sole stava per sparire dietro le montagne della terra dei tre promontori, la Trinacria. In quel posto, qualche anno prima era sbarcato con suo padre insieme a tanti altri. Lui era un bambino, a malapena ricordava i luoghi dove viveva prima. I suoi ricordi veri iniziavano proprio con quello sbarco, quando aveva sentito dire a suo padre che quello era il luogo destinato dagli Dei a diventare la loro nuova patria. E così era stato, da anni ormai Agatos ed i suoi compagni di viaggio vivevano a Rheghion sotto il saggio governo del padre. Appoggiato con la schiena al muro di pietre, con la sua mente fervida pensava alla nuova terra che abitava da poco, a ciò che era stato ed a ciò che sarà, navigando con il pensiero verso tempi futuri tanto lontani che forse mai sarebbero arrivati. Agatos immaginava una città florida, come non potrebbe essere altrimenti in un posto come questo; acqua, frutta, selvaggina, mare, sole. E sulle montagne alle spalle legname di qualità per costruire le navi. La terra degli Dei doveva essere molto simile. Immaginava una città sopra le altre, egemone per forza e per diritto. Immaginava un popolo fiero e saggio, emanatore di civiltà e cultura nel mondo conosciuto, ospitale e pronto ad accogliere chiunque venga in pace, viaggiatore o profugo. Immaginava.... L’abbaiare del cane lo distolse dai pensieri: una donna era seduta sul muro, a pochi metri da lui. Agatos non l’aveva mai vista prima, era bellissima, vestita con una tunica bianca cinta da un laccio dorato. Con i capelli dorati raccolti sul capo ornato da un pettine bianco e dei lunghi ricci lasciati cadere lungo le guance rosee, le braccia scoperte ed i piedi scalzi. Lo sguardo rivolto verso il mare, sembrava non accorgersi di Agatos. Mentre il cane continuava ad abbaiare rivolto verso la donna, Agatos si alzò e le si avvicinò. Improvvisamente la donna si girò verso il cane, e lo guardò con quegli occhi che, adesso si vedeva, erano verdi e profondi; il cane smise di abbaiare, e mugolando si accucciò a terra, intimorito.

<-I tuoi pensieri sono quelli di un uomo che ama questa terra profondamente, Agatos -
Le parole non uscirono dalla bocca della donna ma Agatos le udì distintamente. 
-Mi conosci? E come fai a sapere cosa penso? Chi sei? -
-Troppe domande, per un uomo pieno di certezze come sei tu. Se tu vuoi, sono l’essenza stessa di questa terra, oggi mi vedi così domani forse avrò un’altra immagine; sarò sempre come mi immaginano gli uomini onesti, e mai come mi vogliono i malvagi. Ma sarò sempre io, e questo conta. Tu sei degno di vedermi e di parlare con me, perché hai il cuore puro; ed io ho bisogno di parlare con te, affinché il tuo popolo, che adesso è il mio popolo, sappia ciò che è stato e ciò che è. Quello che sarà  non posso dirlo.- 
Agatos era affascinato dalla donna, che adesso sorrideva, mentre i suoi occhi erano penetranti come lame, e lui si accorse che la voce che sentiva era dentro la sua mente.
-Io vi darò quanto di meglio possa avere un uomo in questo mondo: vi darò acqua, terra fertile, flora e fauna, sole e pioggia. Ma voi dovrete farne l’uso giusto. Da questa terra potrete trarre vita e potere, ma ugualmente, se non userete saggezza, trarrete morte e disgrazia. Per questo io non posso dirti cosa sarà, sarete voi, tu ed il tuo popolo e quelli che vi seguiranno a decidere del vostro futuro. Nel tempo mi invocherete, ogni volta che avrete difficoltà chiederete il mio aiuto, ed io ci sarò sempre. Mi chiamerete con mille nomi, mi darete mille aspetti. Gioirò e piangerò con voi, ma non potrò aiutarvi se voi stessi non vi aiuterete.  Vai, Agatos, e porta questo messaggio al tuo popolo, che faccia tesoro delle mie parole adesso e nei tempi futuri. -
Così parlò la donna. Il cane riprese ad abbaiare e Agatos si girò di colpo, risvegliatosi dal torpore. Era ormai buio, e intorno a lui non c’era nessuno. >>
Terminato il racconto, il professore disse al nipote:
- Apri quel cassetto - indicò il comodino a fianco del letto - e prendi l’agenda di pelle nera; nelle prime pagine troverai il disegno della stele. L’ho riportata più fedelmente possibile, era buio, la sotto. - E Natale, presa l’agenda, sfogliando le pagine ingiallite dal tempo rilesse in greco antico le stesse parole che il nonno gli aveva recitato poco prima, affascinato dai caratteri antichi che da anni insegnava ai giovani reggini, ma che non aveva mai associato a qualcosa di così reale.
- Questo è quanto era riportato sulla stele, questo è quello che i nostri antenati, cittadini di Rheghion hanno portato avanti, nel bene e nel male, per millenni. Adesso tu sei il custode di un principio essenziale per la stessa esistenza della nostra città, fanne uso, diffondilo tra i reggini, affinché le glorie di Rheghion non rimangano solo antica memoria.-
Con queste parole il vecchio spirò sorridendo; ma la morte del nonno stranamente non intristì il giovane. L’emozione lo assalì, la sua mente immaginò una città viva, fiera, emanatrice di civiltà e cultura nel mondo, ospitale e pronta ad accogliere chiunque venga in pace, viaggiatore o profugo. Immaginò......

sabato 8 settembre 2012

Jeu mi ndi vaiu a' Festa

Festa 2011 foto di Marco Costantino da Scirocco News
Minatimi ntall'anchi,
minatimi 'nta testa,
pigghiativi 'a me' machina,
ma non mi tuccati 'a Festa!

Si siti latriceddi,

si non pavati 'i tassi,
si 'mpaticati all’atri,
si bbandunati 'i cani,

c’è 'u Quatru d'a Maronna

non vi nd’ancarricati,
chi poi pi' novi sabati
vi spetta m'u priati.

'A festa dura jorna,

'a vita tanti anni,
prima iti a' Prucessioni,
e poi faciti 'i danni.

Se quandu cala 'u Quatru

'nci iti puru appressu
allura stati certi
chi poi tuttu è permessu.

Si vui cuntati mbrogghi

e’ cittadini 'i Rriggiu
dicendu: “tuttu è a postu
accà nui simu 'i megghiu!”

allura stati certi

chi si 'a Vara 'ncoddati
puru 'sti peccateddi
vi sunnu perdunati.

E jeu chi staiu mi vardu

chi mi mbilenu 'u sangu
mi viu sfilari genti
chi mancu si virgogna,

'a spettu 'u stessu, a Festa,

mi ‘nzonnu chi stavota
'u Quatru si ribella
e 'i manda a ddu paisi.

Ma non succeri nenti,

sunnu tutti cuntenti,
pari chi non è veru
chi nd’hannu a dari cuntu.

E allura mi cunsolu

pensandu chi c’è sempri
speranza ch’i Rriggini
capisciunu c’u Quatru

non faci nenti sulu,

havi bisognu 'i fatti
voli vidiri 'a genti
chi cerca mi reagisci

voli vidiri 'a genti

chi jiasa 'a testa e dici
“chista città è 'a nostra!
mi si ndi vannu 'i latri!”

Minatimi ntall'anchi,

minatimi 'nta testa,
pigghiativi 'a me machina,
ieu mi ndi vaiu 'a Festa!

mercoledì 5 settembre 2012

Antonello Venditti non è personaggio gradito in Calabria, ci venga se vuole come turista, ma non come cantante.


In altre parole, venga in Calabria a spendere soldi, se vuole, ma  non a incassarne dai calabresi.
Era il settembre 2009 quando scoppiò il caso "Venditti vs Calabria", come fu definito dalla stampa. Antonello Venditti, durante un suo concerto del 2008 in Sicilia, aveva pronunciato parole offensive e gratuite nei confronti della Calabria e dei calabresi: "Perchè Dio ha fatto la Calabria?...Ho conosciuto un ragazzo calabrese che prendeva il traghetto per la Sicilia, dove trovava una ragione, la cultura. In Calabria non c'è veramente niente, ma niente che sia niente." Il cantante era stato ripreso in un video caricato su Youtube, che il giornale online Strill.it scoprì e rese pubblico.

 In breve tempo semplici cittadini, esponenti della cultura (quella negata da Venditti) e politici di tutta la regione manifestarono la loro indignazione per il gesto compiuto dal cantante; gesto che appariva ancora più scorretto considerando le parole che Venditti aveva detto nel 2007 sul lungomare di Reggio Calabria, dove aveva elogiato la Calabria, asserendo di non capire come si potesse parlarne male. (Ma in quel momento era a libro paga dei cittadini calabresi, verrebbe da pensare). 
Alla fine di un mese veramente frenetico, con interviste a Venditti anche dalla televisione nazionale, lettere ai giornali a raffica da parte di cittadini indignati e quant'altro, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti (in pre-campagna elettorale in corsa per la poltrona di governatore della Calabria) si recò a Roma a casa del cantante per riappacificarsi a nome dei calabresi; chi gliene abbia dato mandato è ancora un mistero, ma la fotografia di Scopelliti e Venditti a braccetto fa ancora innervosire tanta gente. Anche il governatore pro-tempore Agazio Loiero si recò da Venditti, naturalmente, ed anche lui ottenne parole di scusa e la promessa di recarsi "a breve" in Calabria e di mettersi a disposizione per "fare qualcosa per la terra che amava". Il tutto in barba al semplice, civile, naturale concetto che dovrebbe essere chi offende a recarsi a trovare l'offeso per chiedere scusa, e non il contrario. E si parla di spostarsi da Reggio a Roma, mica di attraversare la strada. Qualcuno, dalla Calabria, propose a Venditti un concerto riparatore gratuito, ma da quel giorno, era l'ottobre 2009, nessuno lo ha mai visto qui da noi, se non in televisione. 

Venditti si è scusato con argomentazioni ridicole, infondate, insostenibili di fronte al video che lo inchioda alle sue responsabilità, ma i nostri due "ambasciatori" autoincaricatisi di risolvere la questione, facendo "i fissa pi non ghiri a' guerra" (gli scemi per non andare in guerra) accettarono le scuse ed il caso fu chiuso. Dopo tre anni, come se niente fosse successo, dopo avere preso in giro i calabresi con le sue patetiche scuse, Antonello Venditti si ripresenta in Calabria con un megaconcerto (nelle intenzioni degli organizzatori) a Vibo Valentia, il 28 settembre 2012. Un megaconcerto con prezzi per niente popolari, vista la attuale situazione di crisi. Viene solo ed esclusivamente per guadagnare denaro. Comunque, al di là del concerto che si terrà (credo) in ogni caso, ritengo che Antonello Venditti debba essere messo a conoscenza del fatto che in realtà nessuno gli ha creduto, probabilmente neanche i suoi due interlocutori di allora. Perchè il vero problema, quello che di più brucia, non sono le parole dette in Sicilia (sicuramente gravi) ma l'ambiguità, la falsità del suo comportamento. Non è e non sarà mai più persona gradita in Calabria, perchè ha offeso e cercato di raggirare i calabresi, prima elogiandoli in loro presenza dopo offendendoli fuori dalla regione, e per finire recitando scuse ridicole. Nessuno gli impedirà di venire e nessuno gli vieterà di cantare, ci mancherebbe altro, ma certo pochi calabresi lo saluteranno vedendolo per la strada e pochi calabresi lo andranno a vedere e gli batteranno le mani. 

sabato 1 settembre 2012

Terremoto - La preoccupazione, la paura, il terrore.

Un giorno mi sono trovato a girare per lo zoo di un circo, guardando con tristezza (e, lo ammetto, curiosità) gli animali rinchiusi in gabbie e recinti più o meno grandi, sempre troppo piccoli rispetto al mondo. C’era, tra le altre, la gabbia del gorilla dove vivevano prigionieri due enormi esemplari, credo fossero maschio e femmina. Uno dei due era sdraiato a terra, vicino alle sbarre, in una posa che non esito a definire umana. Per un attimo ho pensato che non era possibile che un uomo stesse prigioniero in tali condizioni; solo per un attimo, poi ho realizzato che era un animale, ed ho pensato che non era possibile che un animale stesse prigioniero in quelle condizioni. Il gorilla mi guardava (almeno credo, aveva lo sguardo rivolto verso di me) con espressione triste, ed a un certo punto si portò la mano alla fronte, come se stesse pensando a qualcosa di particolare. L’imponenza dell’animale mi indusse a domandarmi cosa avrei fatto se me lo fossi trovato davanti libero, e giunsi subito alla conclusione che non sarei scappato, anzi, gli avrei teso la mano in atteggiamento amichevole; non mi faceva paura. Conclusione troppo veloce per non essere sospetta di esagerazione, e per questo continuai a pensarci sopra girando per lo zoo, sempre con lo stesso risultato. Mi convinsi definitivamente quando feci lo stesso ragionamento con un leone e una tigre: sarei assolutamente scappato, sperando di farcela. Non mi ero esaltato, il gorilla mi ispirava fiducia, simpatia, porca miseria lo dico: credo che ci fosse empatia almeno da parte mia. Suggestione o no, l’esito di quel ragionamento se vogliamo sconvolgente, seppur privo di prova reale, mi portò nelle mie elucubrazioni a ragionare sulla paura. Per esempio l’incubo è per definizione spaventoso, terrificante, comunque destabilizzante. I miei incubi (raramente ne ho) sono sempre senza capo ne coda: situazioni impossibili da gestire usando la razionalità e per questo terrificanti. Il gorilla mi è istintivamente familiare e non mi fa paura, quindi non me ne preoccupo, ma è anche vero che gorilla liberi difficilmente ne incontrerò nella mia vita, per me fa parte di un mondo virtuale. L’uomo vive nel mondo reale, la razionalità è essenziale, per affrontare con successo ciò che ci spaventa; in mancanza di razionalità, la paura si trasforma in terrore o addirittura in fobia; terrore e fobia non sono gestibili, portano al caos.
Non conosco l’oggetto, l’oggetto mi minaccia, ne ho paura, cerco preventivamente di difendermi o di scappare.
Oppure non conosco l’oggetto, l’oggetto non mi minaccia, ma proprio perché non lo conosco, l’oggetto mi preoccupa, devo conoscerlo e prendere provvedimenti per difendermi qualora mi minacciasse.
Oppure ancora non conosco l’oggetto, l’oggetto non mi minaccia e non mi preoccupa, lo ignoro e faccio i cavoli miei fino a quando mi minaccia e solo dopo cerco di prendere provvedimenti, oppure, molto più probabilmente, me la faccio sotto.
Paura e preoccupazione essendo situazioni emotive dovrebbero portare l’uomo ad agire  preventivamente e razionalmente; la beata ignoranza, il “...m’incrisciu e mi ‘ndi futtu e tutti i cosi sunnu fissaria…” di Giuntiana memoria lo portano ad avere terrore di tutto quanto non conosce ed ha ignorato seppur essendo al corrente della sua esistenza, nel momento in cui l’ignoto si manifesta, terremoto compreso. Ma non pensiamoci più....passata è la tempesta... aund’è chi rriva a Festa!