TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© I contenuti di questo blog, se non diversamente indicato, sono di proprietà esclusiva dell'autore/amministratore. Tutti i diritti sono riservati.
Per eventuali autorizzazioni su specifici contenuti effettuare apposita richiesta tramite email all'indirizzo pasplaca@gmail.com .
"passo la vita fuggendo dalla mia ignoranza"
NON CAPISCO...E NON MI ADEGUO!!!
su questo blog non si pubblicano commenti anonimi

martedì 6 agosto 2013

Paesano "Vota cannolu"



Al cessare della minaccia saracena quasi tutti i paesi della costa jonica, che per ovvia necessità erano situati sulle colline in posizioni facilmente difendibili, generarono una loro propaggine sulla costa, che spesso si sviluppò al punto da essere più grande ed importante del paese d’origine stesso. Motta San Giovanni e Lazzaro, Montebello e Saline, San Lorenzo e San Lorenzo Marina, e tanti altri. Tra il paese/madre e la “marina” nasceva immancabilmente una rivalità basata su presunte tesi di nobiltà di origine, produttività, peso nell’economia comunale etc. etc. … che di solito si concretizzava (e si concretizza tutt’oggi) con sfottò e sfide incruente, molto di rado con atti di violenza. E accade quindi che storielle come questa che sto per raccontare vengano adottate da una delle due fazioni del paese per sfottere i compaesani rivali. Ne esistono varie versioni, che differiscono praticamente solo per la collocazione geografica adottata. Il “paesano della marina” o “il paesano del borgo” è di volta in volta il personaggio interprete della scenetta, raccontata dal “paesano rivale”. La definizione di “vota cannolu” (gira cannolo) si usava frequentemente fino a qualche tempo fa per indicare una persona che si riteneva furba ma che tale non si dimostrava con i fatti.
Giovanni, un contadino (diciamo della collina) con il suo asino carico di prodotti agricoli, partì in piena notte per recarsi a Reggio per trovarsi lì di buon ora e vendere al mercato la sua mercanzia. Sulla strada si trovò a dovere attraversare il letto di una fiumara. Attraversare una fiumara d’estate è cosa abbastanza facile, altrettanto non si può dire d’inverno, quando le acque scorrono impetuose e le pietre del greto sono limacciose e scivolose. Durante l’attraversamento, il povero asino, caricato appunto “come un asino”, mise una zampa in fallo e scivolò cadendo in una grossa pozza d’acqua e fango nella quale sprofondò rimanendo solo con la testa e parte del dorso fuori dall’acqua. I due “cofani” del carico erano per metà sott’acqua, ma per fortuna il contadino capì che era meglio non scaricare l’animale, poiché erano proprio i due cofani che aumentando la superficie impedivano all’asino di sprofondare. In pratica galleggiava, la povera bestia, ma troppo poco per poterla tirare fuori, le zampe erano imprigionate nel fango. Si trattava quindi di sollevarlo di più, per poterlo poi tirare all’asciutto. Per fortuna giunsero sul posto altri contadini, della “marina” e della “collina”, tutti con il loro asino, tutti in viaggio per Reggio. Intorno alla povera bestia si riunì un vero e proprio consulto di menti pensanti, ognuno sinceramente solidale con il compare Giovanni in difficoltà, ma altrettanto confusionario nello studiare soluzioni. Ad un certo punto giunsero alla conclusione unanime che fosse necessario sollevare l’animale. Uno di loro si ricordò di avere sentito dire che i pescatori usavano recuperare le barche affondate utilizzando zucche vuote o otri di pelle pieni d’aria; li agganciavano al relitto aggiungendone tanti fino a quando risaliva a galla. Ma dove trovare il necessario, in piena notte in mezzo ad una fiumara? Il colpo di genio venne ad un contadino della “marina”: perché non riempire d’aria proprio l’asino? Dopo tutto si poteva assimilare ad un otre. Si presentò però un nuovo problema: da dove introdurre l’aria nell’asino? Dalla bocca non era possibile, perché non avevano un attrezzo adatto e l’aria se ne fuoriusciva appena veniva immessa, altrettanto accadeva dalle narici. Rimaneva un’unica soluzione: quella posteriore. Detto fatto presero una canna delle dimensioni giuste, la lavorarono con cura e ne ricavarono un “cannolo” idoneo alla bisogna. L’asino ormai sfinito stava immobile a subire i tormenti che i contadini, seppur in buona fede, gli infliggevano, forse aveva anche capito che lo facevano per il suo bene. Certo non fu felice di sentirsi introdurre nel posteriore il “cannolo”. L’onore di iniziare a soffiare fu dei contadini della “marina”, che avevano avuto l’idea. Scoprirono presto che gonfiare un asino non è cosa da poco, e in breve tutti i “marinoti” furono stanchi. A questo punto, i contadini della “collina”, consci della responsabilità che toccava loro e orgogliosi di essere quelli che avrebbero portato a compimento l’operazione, sentendo rinascere la vecchia rivalità tennero a precisare: “sapete, amici, non per mancare di rispetto, ma solo per questioni d’igiene, non è opportuno che noi della collina appoggiamo la bocca dove l’avete appoggiata voi della marina. Non vi offendete, ma noi soffiamo dall’altra parte del “cannolo”, perciò lo giriamo”. E rivolgendosi al padrone dell’asino, uno di loro disse: “Giuvanni, vota u cannolu”. Giovanni estrasse il “cannolo” dal posteriore dell’asino, lo reintrodusse dall’altro lato e tutti i contadini della collina soffiarono soddisfatti di non essere stati contaminati da quelli della marina. La storia non racconta se l’operazione di recupero ebbe successo.

Nessun commento:

Posta un commento