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venerdì 22 agosto 2014

Il Ferragosto dello straniero invasore

di Seby Plutino
Sono quattro giorni che ho una scena fissa in testa: la sera di Ferragosto, mentre ero in balcone a fumare una sigaretta, giro la testa e vedo un vasto incendio in collina; uno dei tanti che ogni tanto tiene compagnia soprattutto a Reggio, città sempre più abbandonata anche dai turisti. Non che sarebbe servito a qualcosa, ma volevo capire chi potesse essere stato. Sono stato da sempre un indagatore. Il tempo era poco, però: la sigaretta dura massimo cinque minuti, quindi dovevo raccogliere tutti i pensieri e svilupparli nel più breve tempo possibile per arrivare ad una soluzione. Vi confesso che ho rischiato seriamente di farmela addosso per la concentrazione. Improvvisamente diventa tutto chiaro, stavolta non era difficile, la soluzione era quasi ovvia: gli immigrati.Si, proprio loro: quei “senza cuore” privi di valori che non hanno il concetto di patria, di famiglia, che non si preoccupano di lasciare gli affetti, che lasciano le sicurezze del loro paese, anzi sperperano quello che hanno accumulato, loro e i loro cari, anzi spesso commettono crimini per ottenere quei soldi, per fare “quel viaggio” verso “le Americhe.” E così, mentre tu, e la gente comune, decidete di trascorrere il Ferragosto in montagna mi rrustiti o a mare, loro si fanno questa bella crociera, in prima classe, su “Cu stu Gommoni” o “Cu sta Carretta”, le loro barche preferite. Si sentono alternativi. I morti e gli altri “comfort” sono compresi nel prezzo. Decidono di stare male e tenere incubate malattie per infettare le popolazioni dei territori che occuperanno; una nuova tecnica di conquista, basta armi. Quando arrivano a destinazione, si fregano, oltre i vestiti usati e le medicine, anche il personale medico locale, che quindi viene a mancare per i cittadini, che insorgono ‘ncazzati con un:”C’ero prima io!!”. Non contenti di come sono sistemati, che viene dato loro un tetto (anche se sono stipati come i maiali sui camion diretti al macello) e di tutti gli altri privilegi che vengono loro concessi (ingrati!), sa fujiunu e cominciano, sparpagliandosi, ad invadere la città, sporcando, infettando la gente, stuprando, rubando, spacciando, ammazzando, devastando tutto quello che incontrano (mandando all’aria almeno un decennio di “oculatissima amministrazione cittadina”), mettendo in atto le tecniche adottate dagli Europei verso gli altri popoli ai tempi degli Imperi o, se va bene, si danno al vagabondaggio per la città (come i reggini?!!), gli rubano il lavoro agli altri o si dedicano all’accattonaggio (solo che quest’ultimi per fottere il lavoro ricorrono al “cugno” e l’accattonaggio lo fanno in casa verso i genitori). Così, dopo non aver fatto un cazzo, quando va bene, e danni, quando va male, si nascondono, tra i boschi per non essere trovati, come fanno i latitanti mafiosi; solo che, a differenza loro, durante il tragitto verso la montagna, essendo finalmente arrivati nel Paese dei Balocchi, trovano i capretti che pendono dagli alberi, assicurandosi la cena e ringraziando Dio, che dicono che sia uno, ma ancora, nello specifico, non s’è capito bene che nome abbia. Così, finalmente, giunti al loro nuovo focolare, un po’ per fame e un po’ per invidia, vedendo intorno a loro che anche tanti altri quel giorno avevano fatto lo stesso, decidono di arrostire quel capretto trovato sull’albero, solo che, avendo vissuto fino al giorno prima in un Paese povero, non hanno mai imparato a cucinare perchè cibo non ce n’era (tu sai fare una cosa solo se la puoi imparare), e quindi la cosa gli è scappata di mano e hanno ‘bbampato tutto, restando digiuni, ma illesi, grazie a Dio che ancora, ad onor di cronaca, non abbiamo scoperto come si chiama.
“E i pomperi?!!”
“I pomperi?!! A Rriggiu?!!!”
Quella notte ho dormito come un bambino.

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