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lunedì 19 novembre 2012

Il baco da seta a Reggio Calabria


L’attività di allevamento del baco da seta e quindi la produzione della seta a Reggio Calabria iniziò in epoca bizantina, prima dell’anno mille. Soprattutto i sobborghi reggini erano luoghi di allevamento, al punto di costituire un elemento importante nell’economia locale. La ricchezza di un podere era sancita dal numero di bachi prodotti. L’allevamento dei bachi, la produzione della seta ed il relativo commercio continuò florido fino all’epoca della dominazione spagnola. All’inizio del secondo millennio Reggio costituiva il principale mercato di esportazione della seta grezza e lavorata di tutta la Calabria verso la Sicilia, e l’attività di produzione dava largo spazio al lavoro femminile, spesso anche a donne di posizione sociale elevata. Nelle famiglie reggine dedite all’attività il reddito derivante costituiva spesso l’entrata più consistente, con il vantaggio di interessare un limitato periodo da aprile a luglio, ma di produrre una rendita tale da soddisfare le esigenze di tutto l’anno. Il baco da seta (follicello o filugello, in epoca medioevale) veniva allevato in una stanza asciutta, pulita e aerata, ma senza correnti d’aria; doveva avere almeno due finestre, topi e uccelli (predatori dei bruchi per eccellenza) dovevano essere tenuti lontani, pena l’annientamento dell’intero allevamento. A ciò le serpi erano utilissime, e per questo era ritenuto di buon auspicio l’entrata di una di esse in casa. Su dei pali eretti in mezzo alla stanza venivano annodate le “cannizze” (graticci). Sui pali venivano avvolti dei rovi e altri tipi di spine, per impedire ai topi di arrampicarsi. Dopo tre giorni d’incubazione nascevano i vermi (o bacherozzoli) che si spandevano come un manto sui graticci, imbiancandoli. All’inizio venivano somministrati teneri germogli di gelso, otto - dieci volte al giorno; mangiando avidamente i piccoli vermi producevano un rumore simile a quello della pioggia che cade sulle tegole dei tetti. Successivamente si passava alle foglie di gelso, preferibilmente bianco, ma anche nero, tre volte al giorno. In assenza di foglie di gelso venivano usate le cime dei rametti di olmo o cimette di ortiche o di rovi teneri. Il cibo doveva essere assolutamente asciutto, poiché l’umido è nemico mortale del baco da seta. Anche i graticci dovevano essere sempre puliti e asciutti. A tal fine veniva fatto ricorso a vari sistemi, come le fumigazione con lo zolfo: sulle braci accese si metteva dello zolfo che  saturava la stanza di fumo, e si lasciava agire per diverse ore. Il baco, durante la sua vita subisce tre trasformazioni, di cui l’ultima è la più vistosa: il verme si rinchiude dentro il sarcofago costruito con la sua stessa bava, che alla fine costituisce il filo di seta tanto ambito. Il sarcofago, detto bozzolo, ha la forma di un uovo, seppur più piccolo e restava appeso ai rami o alle ginestre disposte sui graticci. Quando i bozzoli non emettevano più alcun rumore, venivano selezionati e divisi in tre parti. Una parte, la più consistente, veniva destinata alla lavorazione della seta da commerciare: i bozzoli venivano immersi in acqua calda per causare la morte della farfalla, che una volta trasformatasi avrebbe forato il bozzolo per uscire, rovinando irrimediabilmente il filo. Un’altra parte veniva dedicata e donata alla Madonna, il cui culto è presente nella nostra terra da tempo immemorabile. La terza parte era utilizzata per l’allevamento dell’anno successivo. La farfalla che nasceva deponeva da 100 a 200 uova, che rimanevano sui graticci, conservate con attenzione fino al prossimo anno. I bozzoli da lavorare, dopo avere ucciso la crisalide venivano “canati”, cioè filati, ricavandone la seta grezza. Dopo svariati lavaggi in acqua corrente, spesso delle fiumare, se ne ricavava la seta bianca che veniva poi tessuta e venduta. Gli scarti della lavorazione erano il “cucullo” ed il “cascame”, chiamati genericamente “malaffari”. A Reggio, per volere di Federico II, fu istituita la Fiera della Seta, che si svolgeva annualmente ed era visitata da mercanti di tutta Europa. La vera fortuna della seta calabrese durò fino alla fine del XVII secolo, quando Lione, con l’intervento di maestranze italiane, soprattutto calabresi, divenne leader in Europa nel campo della creazione dei tessuti preziosi. La Calabria vide diminuire notevolmente la produzione e I'esportazione di seta, seppur restando fino alla fine del XVIII secolo il maggior fornitore di filato grezzo per Francia e Inghilterra. Nel XVII secolo la crisi colpì molte aree dell’Italia per una generale carenza di innovazioni tecnologiche e solo nel 1780 il governo del Regno di Napoli intervenne fondando a Villa San Giovanni la prima scuola-opificio per l’aggiornamento tecnologico, finanziata dai Caracciolo. Geneticamente priva di grandi imprenditori disposti ad investire, la Calabria si trasformò da produttrice di materiale pregiato in un grande mercato di prodotto grezzo che veniva poi lavorato nelle  fabbriche genovesi e fiorentine. La storia della seta in Calabria è anche storia di presenza femminile: le donne, infatti, erano al centro di un vasto processo che incominciava con l'allevamento del baco e procedeva poi con le varie operazioni del ciclo di produzione, dalla trattura alla tessitura. Sono le donne che, organizzando parte del ciclo di produzione a domicilio,  possono non abbandonare le attività connesse alla cura e custodia della casa. Nell’ottocento, dall'attività di artigianato domestico concretizzata in piccoli opifici familiari sparsi all'interno dei centri abitati, si giunse all'avvento di grandi stabilimenti: le filande. Tra il 1800 ed il 1830, tra Villa San Giovanni e Reggio Calabria furono avviate ben otto grandi filande, fino a giungere nel 1860 a ben 120 filande nella provincia reggina, con oltre 1200 addetti in gran parte donne. L’attività di produzione dei semilavorati raggiunse un elevato livello ed i prodotti venivano esportati in Francia, Inghilterra ed America. Con l’unità d’Italia,  il commercio rimase notevole e riuscì a riprendersi anche dopo il disastro del terremoto del 1908 con gli aiuti governativi, mantenendosi attivo fino al periodo tra le due grandi guerre mondiali. Successivamente, a causa del mutamento degli scenari politici e commerciali ed all’avvento di nuove tecnologie straniere, l’attività di produzione e lavorazione della seta a Reggio ed in Calabria cessò definitivamente.

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