L’attività
di allevamento del baco da seta e quindi la produzione della seta a Reggio
Calabria iniziò in epoca bizantina, prima dell’anno mille. Soprattutto i
sobborghi reggini erano luoghi di allevamento, al punto di costituire un
elemento importante nell’economia locale. La ricchezza di un podere era sancita
dal numero di bachi prodotti. L’allevamento dei bachi, la produzione della seta
ed il relativo commercio continuò florido fino all’epoca della dominazione
spagnola. All’inizio del secondo millennio Reggio costituiva il principale
mercato di esportazione della seta grezza e lavorata di tutta la Calabria verso
la Sicilia, e l’attività di produzione dava largo spazio al lavoro femminile,
spesso anche a donne di posizione sociale elevata. Nelle famiglie reggine
dedite all’attività il reddito derivante costituiva spesso l’entrata più
consistente, con il vantaggio di interessare un limitato periodo da aprile a
luglio, ma di produrre una rendita tale da soddisfare le esigenze di tutto
l’anno. Il baco da seta (follicello o filugello, in epoca medioevale) veniva
allevato in una stanza asciutta, pulita e aerata, ma senza correnti d’aria;
doveva avere almeno due finestre, topi e uccelli (predatori dei bruchi per
eccellenza) dovevano essere tenuti lontani, pena l’annientamento dell’intero
allevamento. A ciò le serpi erano utilissime, e per questo era ritenuto di buon
auspicio l’entrata di una di esse in casa. Su dei pali eretti in mezzo alla
stanza venivano annodate le “cannizze” (graticci). Sui pali venivano avvolti
dei rovi e altri tipi di spine, per impedire ai topi di arrampicarsi. Dopo tre
giorni d’incubazione nascevano i vermi (o bacherozzoli) che si spandevano come
un manto sui graticci, imbiancandoli. All’inizio venivano somministrati teneri
germogli di gelso, otto - dieci volte al giorno; mangiando avidamente i piccoli
vermi producevano un rumore simile a quello della pioggia che cade sulle tegole
dei tetti. Successivamente si passava alle foglie di gelso, preferibilmente
bianco, ma anche nero, tre volte al giorno. In assenza di foglie di gelso
venivano usate le cime dei rametti di olmo o cimette di ortiche o di rovi
teneri. Il cibo doveva essere assolutamente asciutto, poiché l’umido è nemico
mortale del baco da seta. Anche i graticci dovevano essere sempre puliti e
asciutti. A tal fine veniva fatto ricorso a vari sistemi, come le fumigazione
con lo zolfo: sulle braci accese si metteva dello zolfo che saturava la stanza di fumo, e si lasciava
agire per diverse ore. Il baco, durante la sua vita subisce tre trasformazioni,
di cui l’ultima è la più vistosa: il verme si rinchiude dentro il sarcofago
costruito con la sua stessa bava, che alla fine costituisce il filo di seta
tanto ambito. Il sarcofago, detto bozzolo, ha la forma di un uovo, seppur più
piccolo e restava appeso ai rami o alle ginestre disposte sui graticci. Quando
i bozzoli non emettevano più alcun rumore, venivano selezionati e divisi in tre
parti. Una parte, la più consistente, veniva destinata alla lavorazione della
seta da commerciare: i bozzoli venivano immersi in acqua calda per causare la
morte della farfalla, che una volta trasformatasi avrebbe forato il bozzolo per
uscire, rovinando irrimediabilmente il filo. Un’altra parte veniva dedicata e
donata alla Madonna, il cui culto è presente nella nostra terra da tempo
immemorabile. La terza parte era utilizzata per l’allevamento dell’anno
successivo. La farfalla che nasceva deponeva da 100 a 200 uova, che rimanevano
sui graticci, conservate con attenzione fino al prossimo anno. I bozzoli da
lavorare, dopo avere ucciso la crisalide venivano “canati”, cioè filati,
ricavandone la seta grezza. Dopo svariati lavaggi in acqua corrente, spesso
delle fiumare, se ne ricavava la seta bianca che veniva poi tessuta e venduta.
Gli scarti della lavorazione erano il “cucullo” ed il “cascame”, chiamati
genericamente “malaffari”. A Reggio, per volere di Federico II, fu istituita la
Fiera della Seta, che si svolgeva annualmente ed era visitata da mercanti di
tutta Europa. La vera fortuna della seta calabrese durò fino alla fine del XVII
secolo, quando Lione, con l’intervento di maestranze italiane, soprattutto
calabresi, divenne leader in Europa nel campo della creazione dei tessuti
preziosi. La Calabria vide diminuire notevolmente la produzione e
I'esportazione di seta, seppur restando fino alla fine del XVIII secolo il
maggior fornitore di filato grezzo per Francia e Inghilterra. Nel XVII secolo
la crisi colpì molte aree dell’Italia per una generale carenza di innovazioni
tecnologiche e solo nel 1780 il governo del Regno di Napoli intervenne fondando
a Villa San Giovanni la prima scuola-opificio per l’aggiornamento tecnologico,
finanziata dai Caracciolo. Geneticamente priva di grandi imprenditori disposti
ad investire, la Calabria si trasformò da produttrice di materiale pregiato in
un grande mercato di prodotto grezzo che veniva poi lavorato nelle fabbriche genovesi e fiorentine. La storia
della seta in Calabria è anche storia di presenza femminile: le donne, infatti,
erano al centro di un vasto processo che incominciava con l'allevamento del
baco e procedeva poi con le varie operazioni del ciclo di produzione, dalla
trattura alla tessitura. Sono le donne che, organizzando parte del ciclo di
produzione a domicilio, possono non abbandonare le attività connesse alla
cura e custodia della casa. Nell’ottocento, dall'attività di artigianato
domestico concretizzata in piccoli opifici familiari sparsi all'interno dei
centri abitati, si giunse all'avvento di grandi stabilimenti: le filande. Tra
il 1800 ed il 1830, tra Villa San Giovanni e Reggio Calabria furono avviate ben
otto grandi filande, fino a giungere nel 1860 a ben 120 filande nella provincia
reggina, con oltre 1200 addetti in gran parte donne. L’attività di produzione
dei semilavorati raggiunse un elevato livello ed i prodotti venivano esportati
in Francia, Inghilterra ed America. Con l’unità d’Italia, il commercio rimase notevole e riuscì a
riprendersi anche dopo il disastro del terremoto del 1908 con gli aiuti
governativi, mantenendosi attivo fino al periodo tra le due grandi guerre
mondiali. Successivamente, a causa del mutamento degli scenari politici e
commerciali ed all’avvento di nuove tecnologie straniere, l’attività di
produzione e lavorazione della seta a Reggio ed in Calabria cessò
definitivamente.
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lunedì 19 novembre 2012
Il baco da seta a Reggio Calabria
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