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lunedì 11 gennaio 2010

FUORI I NERI DAL LAVORO NERO


È fatta! La crisi di Rosarno è risolta. Un migliaio o forse più di esseri umani è stato vessato e sfruttato per anni; dopo essere stato spremuto meglio delle arance che raccoglieva, adesso sarà cacciato dall’Italia. La legge italiana, che a parole punisce il lavoro nero, che a parole punisce la riduzione in schiavitù, che a parole punisce le violenze fisiche e psicologiche, non si preoccuperà di identificare chi per anni ha sfruttato queste persone, magari facendo in modo di costringere gli sfruttatori a corrispondere il dovuto agli sfruttati ed allo Stato stesso sotto forma di contributi non versati. Non si preoccuperà nemmeno (volete scommetterci?) di identificare e perseguire chi ha provocato la reazione degli immigrati sparandogli addosso con un'arma ad aria compressa. Via subito da Rosarno gli immigrati e appena possibile fuori anche dall’Italia, prima che a qualche magistrato (chiaramente “di sinistra”) venga l’idea di bloccare tutto per fare qualche domanda. Forse saranno identificati i “caporali”, ma gli “onesti” cittadini, proprietari dei fondi che producono le arance e le olive, quelli non li toccherà nessuno. Adesso la cittadinanza, che non si sente razzista ne’ xenofoba, visto che cappucci bianchi in giro non se ne sono visti, protesta contro l’etichetta che “i media vogliono appiccicarle”, il ministro della purezza della razza Roberto Maroni, che ha attribuito la responsabilità dei disordini alle autorità locali ed alla troppa tolleranza, farà espellere i clandestini e tutto tornerà a posto. Fatta eccezione per un piccolo particolare: chi provvederà a raccogliere le arance e le olive? Probabilmente ci penserà la ndrangheta a procurare nuova manodopera a basso prezzo, possibilmente stavolta comunitaria, dai paesi dell’est che hanno recentemente aderito all’Europa in modo tale da non avere problemi di permesso di soggiorno. Risolto così il problema del colore della pelle, ma non quello del lavoro, che sarà sempre nero. Lo stato? È presente, dice Maroni. A casa sua, forse.

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